Il nostro organismo ha un continuo bisogno di energia chimica, che ottiene attraverso il catabolismo dei vari macronutrienti (glucidi, lipidi e proteine). Metà dell’energia liberata da questo processo di catabolismo viene dispersa come calore. La macchina umana ricicla una parte di queste perdite, per la regolazione corporea (omeostasi termica).
L’energia contenuta nei macronutrienti non viene liberata tutta in una volta, ma con una certa gradualità, mano a mano che le varie reazioni metaboliche si susseguono. L’energia non può essere utilizzata direttamente dalle cellule, deve essere preventivamente indirizzata alla formazione di ATP. Questa molecola è la principale responsabile nella produzione di energia, perché chimicamente instabile, quindi in grado di trasformarsi con estrema facilità in un sottoprodotto più stabile.
La conversione di una mole di ATP in ADP libera 7,3 Kcal di energia prontamente utilizzabile
Poiché l’energia fornita dall’ATP sostiene tutte le forme di lavoro del nostro corpo, essa rappresenta la valuta energetica delle nostre cellule. L’organismo non possiede grandi scorte di ATP. Nel corpo umano sono infatti stipati circa 80-100 grammi di ATP, in grado di soddisfare le richieste energetiche soltanto per pochi secondi.
Quindi, al fine di mantenere costanti i livelli energetici, l’ATP deve essere continuamente prodotta attraverso il catabolismo ossidativo dei nutrienti.
Come si forma l’energia
La produzione di ATP avviene con la glicolisi, quel processo grazie al quale trasformiamo il glucosio, ovvero gli zuccheri semplici che ricaviamo dagli alimenti, in energia immediatamente disponibile. Il nostro organismo ha la possibilità di creare dei depositi adiposi altamente energetici, ma, come ben si sa, antiestetici e poco salutari. È bene quindi mantenere un giusto quantitativo di grassi di deposito utile a fornire energia, evitando l’eccesso.
A livello muscolare il deposito di glucosio (glicogeno) è una riserva pronta a essere impiegata. In una persona di circa 80 Kg vi sono circa 100 grammi di glicogeno nel fegato e 400 grammi a livello dei muscoli, per ripristinare i livelli di glicogeno dopo l’attività fisica occorrono dalle 5 alle 24 ore.
La riserva di glicogeno non deve diminuire altrimenti il nostro organismo trasformerebbe le proteine in energia con una conseguente perdita di tono muscolare.
Per questo motivo l’allenamento deve cominciare a tavola con un’alimentazione sana e equilibrata, per fornire tutti i nutrienti indispensabili all’organismo.
Metabolismo e digestione
I processi metabolici, quelli che consentono di ricavare energia, per avere luogo devono utilizzare i nutrienti. Tutto quindi comincia dalla digestione.
La digestione inizia con la masticazione: occorre masticare con cura gli alimenti per favorire “l’amilasi salivare” che consente la prima digestione degli amidi contenuti negli carboidrati (zuccheri) complessi.
La digestione continua a livello dello stomaco e del duodeno dove l’intervento di enzimi digestivi e della bile favoriranno l’assorbimento di tutti i nutrienti.
Quanto tempo per la digestione.
Per generare energia è importante ricordare che occorre del tempo per la trasformare il cibo in ATP e glicogeno. Ma quanto tempo occorre di preciso?
Occorrono circa 60 minuti per i carboidrati, 90-120 per le proteine, 3 ore per i grassi. Dato che noi ci alimentiamo di tutti questi nutrienti è meglio attenersi al tempo massimo in quanto l’attività fisica va condotta dopo che i nutrienti stessi siano diventati disponibili all’utilizzo energetico.
METABOLISMO ANAEROBICO ALATTACIDO
Vengono utilizzate le riserve di ATP e di fosfocreatine immagazzinate direttamente nel muscolo.
La resintesi dell’ATP avviene infatti a partire dall’ADP (che si forma dalla precedente scissione dell’ATP, dovuta al suo utilizzo), a cui viene aggiunto un fosfato (ceduto appunto dalla fosfocreatina).
In questo caso non è necessaria la presenza di ossigeno, sistema energetico “anaerobico”. Inoltre non si ha accumulo di acido lattico, per cui è detto “alattacido”.
Questo sistema presenza una potenza molto elevata ma una scarsissima capacità, per cui è utilizzato per contrazioni di alta intensità ma di breve durata, perchè dopo pochi secondi si esauriscono le riserve di fosfocreatina.
METABOLISMO ANAEROBICO LATTACIDO
Il carburante di questo sistema energetico è il glicogeno immagazzinato nel muscolo stesso.
Senza entrare nei dettagli dei processi biochimici che portano alla produzione di ATP, ci interessa sapere che oltre alla sopracitata molecola questo tipo di metabolismo produce anche un prodotto di scarto, l’acido lattico.
L’acido lattico è il responsabile della sensazione di bruciore che si sente quando si fanno serie lunghe con i pesi o ripetute superiori ai 20 secondi (ma non è la causa, come molti pensano, dei dolori muscolari che si accusano nei giorni successivi all’allenamento).
Le caratteristiche di capacità e potenza di questo sistema energetico sono intermedie: la potenza è minore rispetto a quella del metabolismo anaerobico alattacido ma maggiore rispetto a quella del sistema aerobico, mentre la capacità è molto maggiore rispetto al metabolismo anaerobico alattacido ma minore rispetto a quello aerobico.
METABOLISMO AEROBICO
Come dice il nome stesso, per la sintesi di ATP tramite questo sistema è necessaria la presenza di ossigeno.
Il “carburante” di questo sistema energetico è rappresentato dai carboidrati (in questo caso il glicogeno muscolare ed epatico) e dagli acidi grassi.
Il substrato ossidato preferenzialmente (glicogeno, acidi grassi) per produrre energia cambia a seconda dell’intensità dell’esercizio: quando l’intensità è bassa vengono ossidati principalmente gli acidi grassi, mentre all’aumentare dell’intensità aumenta l’utilizzo del glicogeno.
Il metabolismo aerobico ha un’alta capacità, consente di produrre energia per molto tempo consecutivamente, di conseguenza ha una bassa potenza, quindi è “lento” nel produrre energia.
I fantastici quattro dello sport: ossigeno, acqua, glucosio e ATP
Il passaggio da una vita sedentaria a una più attiva aumenta in modo esponenziale le quantità di ossigeno, glucosio, acqua e ATP di cui abbiamo bisogno. Questi quattro elementi, importanti per ognuno di noi, sono fondamentali per chi fa sport.
Con il movimento, la richiesta di ossigeno da parte dell’organismo aumenta proporzionalmente all’intensità dell’esercizio. Se il sangue non trasporta abbastanza ossigeno ai muscoli si forma l’acido lattico, portando una sensazione di dolore e senso di fatica. L’allenamento serve, per migliorare la respirazione e la disponibilità di ossigeno, aumentando il tempo di svolgimento dell’attività, prima di avvertire il senso di stanchezza.
Il glucosio è l’unica fonte di energia del cervello, per cui è importante che esso raggiunga i distretti cerebrali in quantità sufficiente. Il glucosio è inoltre indispensabile per la produzione di energia di pronto impiego.
Praticando sport, specialmente se di intensità moderata e di lunga durata, si possono perdere anche 5-6 litri di fluidi attraverso la sudorazione; è dunque fondamentale recuperare i liquidi persi bevendo molta acqua.
L’ATP (Adenosina trifosfato) rappresenta il “mattone energetico”, la sostanza a alta energia senza la quale le reazioni metaboliche nel nostro organismo non potrebbero avvenire. Il corpo ha una riserva di ATP, presente nei muscoli, a cui poter attingere all’occorrenza, tale riserva tuttavia è molto piccola, non più di 100 g a riposo, irrilevante per sostenere un lavoro attivo (infatti, se in condizioni di riposo le richieste di ATP sono modeste, nel momento in cui i muscoli vengono stimolati a contrarsi questa richiesta aumenta immediatamente). Per questa ragione l’organismo dispone di una riserva di energia statica utilizzando un’altra molecola, chiamata creatina, che, unendosi all’ATP e disponendosi nei tessuti, è pronta ad essere utilizzata. Allo stesso modo, i grassi, i carboidrati e le proteine vengono “bruciati” per fornirci ulteriore ATP e farci continuare il nostro esercizio.
Fabbisogno calorico giornaliero (FCG)
Il fabbisogno calorico giornaliero (FCG) rappresenta la quantità di calorie che quotidianamente un soggetto deve assumere per far fronte sia alle “funzioni metaboliche basali” (dette anche metabolismo basale) sia alle attività fisiche. Se le calorie introdotte sono le stesse delle calorie spese, il bilancio calorico del soggetto è in equilibrio; se le calorie introdotte sono maggiori di quelle consumate, il soggetto accumula calorie, cioè ingrassa, se invece le calorie introdotte sono minori di quelle consumate, il soggetto perde energia, cioè dimagrisce.
Metabolismo basale+SEG (Somma Energetica Giornaliera)+EXTRA
Il termine metabolismo è usato per indicare tutti i processi con cui l’organismo umano brucia e produce l’ energia necessaria a svolgere le funzioni vitali, quindi alla sopravvivenza. Vediamo dunque quali sono le differenze tra i diversi processi metabolici.
Il metabolismo basale è definito come il dispendio calorico minimo di un organismo a riposo, ossia il quantitativo di energie che servono a mantenere le sue funzioni vitali, come la respirazione, la circolazione sanguigna, le attività cerebrali, muscolari, ormonali e di tutti gli altri organi.
In pratica, è ciò che il fisico consuma quando non sta facendo nessuna attività.
Varia, quindi, da persona a persona.
Gli altri fattori che ne causano variazioni sono:
sesso: negli uomini è più alto, perché i maschi generalmente hanno più massa magra e meno tessuto adiposo (che è meno attivo del tessuto muscolare) rispetto alle femmine, anche per effetto del diverso assetto ormonale. Il testosterone (ormone maschile) infatti fa aumentare il metabolismo del 10 % circa, mentre ad esempio nelle donne in menopausa si ha un rallentamento della tiroide e quindi una riduzione del metabolismo che porta come conseguenza l’aumento di peso e di massa grassa. Inoltre, sempre in menopausa, si ha uno squilibrio tra due ormoni che regolano la glicemia, l’insulina e il glucagone, che causa un ulteriore aumento della formazione di grassi (lipogenesi).
peso: in genere è più alto negli individui magri e più basso negli individui sovrappeso o obesi, perché come abbiamo detto il tessuto adiposo è meno attivo del tessuto muscolare, brucia meno calorie e rallenta il metabolismo.
età: di certo a 40 anni non si ha lo stesso metabolismo basale che si ha a 20 anni. Infatti, dopo i 25 anni, momento in cui le ossa smettono di crescere, il metabolismo rallenta di circa il 2 % ogni dieci anni. Dopo i 60 anni, invece, diminuisce fino all’ 8 %.
MB adulto maschio = peso corporeo x 24
MB adulto femmina = peso corporeo x 24 x 0,85
Quando aumenta il consumo di energia
Dal punto di vista “meccanico” la maggiore quantità d’energia viene utilizzata in presenza di due meccanismi strettamente connessi allo sforzo fisico:
L’aumento della frequenza cardiaca, cioè maggior apporto di sangue ai muscoli.
L’aumento della frequenza respiratoria, cioè miglior ossigenazione e migliore eliminazione di anidride carbonica con la respirazione.
Tanto gli sport aerobici, a bassa intensità e a lunga durata, quanto quelli anaerobici che prevedono uno sforzo intenso in mancanza di ossigeno, determinano un incremento delle richieste metaboliche.
FABBISOGNO TOTALE GIORNALIERO (FTG)
Sedentario MB x 1,2
Moderate MB x 1,4
Pesanti MB x 1,6
Pesantissime MB x 1,8
CLASSIFICAZIONE ANTROPOMETRICA
I Somatotipi di Sheldon, rappresentano una classificazione biotipologica identificata attorno al 1940 dallo psicologo e medico statunitense William Herbert Sheldon.
In associazione con questi biotipi, Sheldon teorizzò la Psicologia costituzionale, scienza che collega le diverse costituzioni con i tipi di temperamento. Sheldon sostenne che il corpo umano doveva essere classificato in base al contributo relativo di tre elementi somatici fondamentali, dal nome dei tre foglietti embrionali]: l’endoderma (da cui si sviluppa l’apparato digestivo e respiratorio), il mesoderma (da cui origina il muscolo scheletrico, il cuore e i vasi sanguigni), e l’ectoderma (da cui origina la pelle e il sistema nervoso). Tali modelli sono stati valorizzati nel campo della psicologia e criminologia per la loro connessione con i tipi psichici, ma anche nel mondo dello sport e del fitness, per cercare di individuare il tipo di attività, le metodiche di allenamento, nonché il regime alimentare, più adatti all’individuo.
Endomorfo: caratterizzato da un aumentato deposito di grasso, una vita larga e una struttura ossea robusta. L’endomorfo è maggiormente predisposto ad immagazzinare grasso, dunque i gradi di appartenenza all’endomorfismo delineano la tendenza all’accumulo di lipidi di un soggetto.
Mesomorfo: caratterizzato da ossa di medie dimensioni, tronco solido, bassi livelli di grasso corporeo, spalle larghe a vita stretta, solitamente denominato tipo muscolare. Il mesomorfo è tendenzialmente predisposto a sviluppare la muscolatura, ma non ad immagazzinare grasso, e i gradi di appartenenza al mesomorfismo delineano la tendenza allo sviluppo muscolare di un soggetto.
Ectomorfo: caratterizzato da muscoli e arti lunghi e sottili e un ridotto accumulo di grasso, di solito indicato come sottile. L’ectomorfo non è predisposto ad immagazzinare grasso o a costruire muscolo, quindi i gradi di appartenenza all’ectomorfismo delineano la tendenza al mantenimento di un corpo sottile, magro, poco muscoloso, e longilineo di un soggetto.
Sono quindi state formulate delle classificazioni sulle rispettive tendenze psichiche di questi modelli, che a seconda delle componenti prevalenti, possono essere distinti in emotivo, nominato come viscerotonico (relativo all’endomorfo), attivo, chiamato somatotonico (relativo al mesomorfo), passivo, chiamato cerebrotonico (relativo all’ectomorfo.
Secondo Sheldon queste caratteristiche tuttavia non si presentano così specificamente definite. Realmente le componenti costituzionali risultano ampiamente variabili, individuali, complesse, mutabili o continue, pertanto questi modelli biotipologici rappresentano un’estrema semplificazione indicativa. Questi tipi non corrispondono dunque a nessun individuo reale e concreto. I biotipi puri, sono molto rari, mentre la maggioranza degli individui è caratterizzata da valori di appartenenza misti o intermedi e, dal lato psicologico, possono servire a far comprendere a grandi linee le relazioni tra le dimensioni dell’organismo e le personalità degli individui. Non a caso la scala di classificazione che cataloga l’appartenenza di un individuo a questi biotipi prevede una grande varietà di possibili modelli che risulta molto precisa e individualizzata.
Allenamento sportivo
Per allenamento sportivo si intende il processo compiuto dall’atleta al fine di migliorare la prestazione sportiva. L’allenamento è un processo il cui fine è quello di intervenire, in modo organizzato, verso la pratica sportiva così da poter esprimere le migliori prestazioni nell’ambito di una competizione.
Un allenamento “mescola” ingredienti di vari campi (fisiologico, biomeccanico, psicologico, pedagogico, biochimico ed anatomico) in un modo tuttavia differente, tanto da creare una “scienza dell’allenamento” a sé stante. Secondo gli obiettivi tramite l’allenamento si avrà un innalzamento delle capacità di prestazione, seguito da un periodo di adattamento e da un periodo di diminuzione di queste capacità.
Il carico (stimolo allenante) porta a una variazione dell’equilibrio biochimico dell’organismo (variazione dell’omeostasi). Per essere meglio preparato a futuri carichi dello stesso tipo, il corpo reagisce con un adattamento, dal quale risulta un migliore stato funzionale. Un esempio è la supercompensazione delle scorte di glicogeno nei muscoli sottoposti ad un carico di resistenza.
RECUPERO
Il recupero è uno degli aspetti più oscuri e trascurati del ciclo “stimolo-adattamento” indotto dall’esercizio fisico, nonostante molti degli effetti provocati dall’allenamento si manifestino proprio durante e grazie ad esso.
Definiamo il recupero, in una prospettiva pratica, l’abilità di ripetere o eccedere la propria performance in una particolare attività fisica in relazione al tempo.
Esistono tre metodi di recupero:
Immediato: è il recupero che avviene durante specifiche fasi del gesto atletico; è il caso della gamba controlaterale a quella di spinta nel corridore o della fase di sospensione che segue un balzo.
Breve-termine: è il recupero tra le serie di uno stesso esercizio o tra esercizi successivi all’interno di uno stesso allenamento. Molto studiato in letteratura è uno dei parametri principalmente caratterizzanti l’allenamento.
Medio-lungo termine: è il recupero che intercorre tra diverse sedute di allenamento o competizioni.
L’approccio al recupero può essere inoltre:
Attivo: caratterizzato da specifiche attività (esercizi al suolo, in acqua…) susseguenti l’esercizio fisico allenante, con la finalità di aumentare la velocità di smaltimento delle scorie metaboliche generate dallo stesso (su tutti l’acido lattico) accelerando il processo di recupero dell’organismo.
Passivo: sottintende il semplice concetto di “lasciar fare” al nostro corpo senza indurre ulteriori stimoli post-allenamento. Tale tipo di recupero non prevede dunque nessuna strategia avente il fine di massimizzarne gli attributi.
Durante la fase di recupero il nostro organismo apporta importanti modifiche innescando un processo di riparazione volto al ripristino dello stato funzionale ottimale eal potenziamento delle “difese” (supercompensazione) in vista di un prossimo eventuale “attacco” da fronteggiare.
Le principali variabili che influenzano il tempo necessario affinché tale processo si svolga interamente e correttamente sono:
L’approccio al recupero è dunque da studiare seguendo una prospettiva multidimensionale in cui i fattori elencati interagiscono e si influenzano vicendevolmente concorrendo al raggiungimento del risultato finale.
DEBITO D’OSSIGENO (EPOC)
Consumo di ossigeno globale in eccesso rispetto al basale.
L’EPOC è strettamente correlato alla intensità e alla durata dell’esercizio: tanto più la sollecitazione sarà intensa e prolungata tanto più alto sarà l’EPOC.
IL debito di ossigeno può essere compensato in periodi che variano da minuti a diverse ore.
In caso di esercizio massimale e submassimale il recupero attivo giova più della completa inattività, un attività a bassa intensità provoca un più veloce smaltimento dei cataboliti e del lattato. Per recuperare il debito di ossigeno dopo un allenamento lattacido occorre da 30min a 1 ora.